Mai come in questo momento la mobilità, soprattutto quella urbana, sta subendo una metamorfosi incredibile. Tra i molteplici processi in corso quello della sharing mobility è sicuramente il più interessante e dinamico. Con questo termine inglese, che letteralmente si può tradurre con mobilità condivisa, si identifica un fenomeno in grande e forte espansione che sta cambiando il mondo dei trasporti e il modo in cui ci spostiamo e ci sposteremo nel prossimo futuro.
Che cos’è la sharing mobility
Se volessimo dare una definizione di sharing mobility potremmo identificare con questo termine il fenomeno legato a un modo di muoversi diverso delle persone, che preferiscono l’utilizzo di mezzi pubblici o a noleggio piuttosto che il proprio. Il tutto, ovviamente, è stato reso possibile da una serie di fattori di novità che ne hanno accelerato la diffusione.
Uno su tutti, la tecnologia: la sharing mobility e l’evoluzione tecnologica sono due concetti inscindibili, che permettono al fruitore finale libertà di movimento ed economica. Gli utenti, tramite applicazioni e siti web, possono condividere i veicoli che utilizzano ma anche i tragitti, con servizi scalabili, interattivi e più efficienti che permettono di ottimizzare i costi.
A riguardo è interessante notare come l’ultimo Rapporto nazionale sulla sharing mobility, un’ analisi del mercato che viene redatta annualmente dall’Osservatorio Nazionale sulla Sharing Mobility, riporti come le città italiane capoluogo di provincia che hanno almeno un servizio di sharing (bikesharing, car sharing, ecc..) siano ben il 50% del totale nazionale. E ancora 4,9 milioni le persone iscritte a questi servizi, 28,9 milioni gli spostamenti effettuati in sharing, 8.264 auto e 5.070 scooter in condivisione (di cui oltre la metà elettrici), 33.372 monopattini e 27.150 biciclette. Numeri a sostegno del fatto che stiamo parlando di un fenomeno entrato di diritto all’interno del nostro tessuto economico e sociale.
Le caratteristiche dei servizi di sharing mobility
Un servizio di sharing mobility, per essere considerato tale, deve avere caratteristiche ben precise. Per prima cosa un servizio di mobilità condivisa deve prevedere che il mezzo in questione sia condiviso da più persone.
Questi servizi offrono anche la possibilità che la condivisione possa avvenire in successione, come il bike sharing, lo scooter sharing e così via.
La chiave di volta, come già detto, è stata la diffusione della tecnologia e lo sviluppo di sistemi informatici realizzati proprio per consentire il rapido ed efficace utilizzo dei servizi. Oggi, infatti, con una semplice applicazione si possono avere più opzioni di trasporto, che ovviamente si adatteranno alle esigenze del singolo utente in una determinata situazione.
I principali servizi di sharing mobility
Sono tanti e differenti i servizi di sharing mobility che vengono offerti oggi sul mercato italiano, sia pubblicamente, sia attraverso aziende private.
Il primo a diffondersi, soprattutto nelle grandi città, è stato il bike sharing. Letteralmente bici in condivisione, ossia la possibilità di poter avere una bicicletta non di proprietà e utilizzarla per un lasso di tempo limitato e in un ambiente circoscritto, che di norma è quello cittadino. È questo il caso, ad esempio, di BikeMi, il servizio di bike sharing della città di Milano, probabilmente il più famoso in quanto integrato anche con l’abbonamento ATM dei mezzi pubblici.
Ad oggi, all’interno del panorama dei bike sharing, sono due le tipologie differenti di servizio: il free floating e lo station based. Il free floating prevede la possibilità di noleggiare la bicicletta e lasciarla dove si preferisce, senza dover tornare allo stallo dove è stata prelevata. Lo station based, invece, prevede l’obbligatorietà di lasciare la bicicletta nello stallo in cui è stata originariamente presa.
Quando si condividono delle auto si parla invece di car sharing. Sicuramente uno dei servizi di mobilità condivisa più noti: si noleggia un’auto pagando il tempo di utilizzo o, in alcuni casi, tariffe orarie prestabilite da un contratto di noleggio. Come per le bici, anche in questo caso esiste il free floating e lo station based.
Più recenti sono, invece, i servizi di car sharing denominati peer to peer e car pooling: il primo è la condivisione dell’auto esclusivamente tra privati, con un noleggiatore che cede a un fruitore la vettura per un periodo di tempo prestabilito. Il secondo invece è l’uso condiviso di veicoli privati tra due o più persone, che devono percorrere uno stesso itinerario. Il servizio più famoso, a riguardo, è quello di BlaBlaCar.
Si parla anche di scooter sharing, ovvero della condivisione degli scooter. Un servizio molto simile a quello delle bici ma che, ovviamente, ha delle differenze sostanziali: le aziende in questo caso forniscono anche il casco, obbligatorio per poter circolare (di norma è posto nel bauletto) e una cuffia di protezione igienica che può essere utilizzata sulla testa sotto il casco stesso. I mezzi sono inoltre limitati nella velocità e presentano un sistema satellitare che si attiva in caso di incidente e per geolocalizzare i mezzi stessi, che devono essere lasciati in un perimetro cittadino per definito.
Negli ultimi anni particolare successo hanno avuto i servizi di scooter sharing elettrici: da eCooltra a MiMoto, fino a CityScoot e ZigZag, una rapida diffusione accompagnata dalla grande presa di coscienza delle persone riguardo al tema della mobilità sostenibile.
Da FreeNow a Uber, l’evoluzione del concetto del taxi
Ultimi, ma solo in ordine di apparizione sul mercato, sono i cosiddetti servizi di trasporto a domanda, gli e-hailing. Servizi anch’essi attivabili tramite una semplice applicazione scaricabile da uno store digitale: la geolocalizzazione permetterà di vedere quale taxi libero è più vicino a noi, ci indicherà il tempo di attesa e prenoterà per noi la chiamata. Non c’è più, in sostanza, la tradizionale telefonata al centralino.
A fine corsa si paga sempre tramite app, con PayPal o carta di credito. La svolta è avvenuta con l’approdo in Italia prima di MayTaxi e poi di Freenow.
Il Covid e la sharing mobility
La pandemia ha temporaneamente bloccato lo sviluppo della sharing mobility, per via ovviamente di una situazione dove la mobilità era estremamente ridotta. Ma nei mesi immediatamente successivi al lockdown la mobilità condivisa è ripartita a pieno ritmo.
È questo quanto emerge da diversi studi di settore: nel report redatto da Report redatto da Moovit parla di un calo del 15% delle persone che si spostavano quotidianamente e del 42% di quelle che utilizzavano i mezzi pubblici nel periodo pandemico.
La Conferenza nazionale sulla sharing mobility,del 2020 invece, ha successivamente dimostrato che i servizi hanno mantenuto un trend di crescita molto incoraggiante: mettendo a confronto i valori di febbraio 2020 con quelli di maggio 2020 in sei città campione (Roma, Milano, Torino, Bologna, Cagliari e Palermo) si può notare come il quadro fosse già tornato quasi ai livelli pre Covid-19. I km percorsi sono cresciuti del 10,3% mentre le iscrizioni a tutti i servizi a disposizione hanno registrato un +30%, passando da 1.865.765 nel 2018 a 2.409.309 del 2019.
Bene anche i servizi di scooter sharing continuano a crescere in maniera importante, registrando un aumento del 174% tra 2018 e 2019. Molto positiva anche la crescita dei noleggi che passano da 989.000 a quasi 3 milioni nel giro di un anno.
I mezzi in sharing sicuri anche dal punto di vista sanitario
Nella già citata analisi dell’Osservatorio sulla sharing mobility è presente anche una ricerca effettuata su un campione di 12.688 persone, per cercare di capire qual è la percezione che l’utente finale ha dei mezzi in sharing.
Detto che il 61% degli intervistati ha un’auto di proprietà ma utilizza ugualmente i mezzi in sharing, questi ultimi vengono visti come sicuri dal punto di vista sanitario, con 3,3 punti di media su 5 totali. Questo dato supera di molto i mezzi pubblici, ancorati a 1,8 punti, ed è secondo solo all’auto personale (4,4).
Luca Talotta