Il Covid-19 ha cambiato radicalmente la nostra vita. Ci ha obbligati a indossare la mascherina, a mantenere una certa distanza sociale e, spesso, a non poter condividere momenti speciali con le persone che più amiamo. Le misure messe in campo per lottare contro il Coronavirus hanno influito anche sull’ambiente che ci circonda e sulla mobilità. Alcuni esperti dicono migliorandone la qualità di entrambi, altri invece valutando l’impatto del Covid in modo meno pesante. Di certo qualcosa è accaduto, anche se parlare di conseguenze dirette è difficile. Cerchiamo di capire meglio cos’è successo.
Inquinamento dell’aria e pandemia da Covid-19: c’e una relazione?
Bisogna porsi delle domande, per arrivare all’obiettivo. È sempre stato così ed è quello che faremo, perché di fatto certezze non ne esistono.
Di certo qualche legame tra inquinamento dell’aria e malattie esiste: gli esperti prevedono che le emissioni di gas serra scenderanno a livelli mai registrati dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi. È chiaro che le politiche di lockdown adottate dai governi in pandemia abbiano aiutato molto; inutile negare che non consentire alle persone di usare la propria vettura, fermare il traffico aereo e le attività produttive abbia un effetto benefico sull’ambiente.
Nella provincia dell’Hubei in Cina, ad esempio, durante la quarantena le centrali elettriche e industriali hanno cessato la propria produzione e di conseguenza l’impiego di veicoli è calato significativamente in tutto il Paese, determinando una vistosa riduzione delle concentrazioni di biossido di azoto (NO2). Nello stesso periodo dall’altra parte del mondo, a New York, i livelli di inquinamento atmosferico sono scesi quasi del 50%. Quindi un legame c’è, su questo ci sono ben pochi dubbi.
E a supporto di questa tesi arrivano anche i dati relativi a come è cambiato l’inquinamento dell’aria nei Paesi europei da una parte e come, invece, dall’altra sia aumentato il consumo di plastica o di energia. In quest’ultimo caso basta un dato per capire quale sia lo scenario attuale: secondo l’ultima ricerca di IHS Markit, il settore dell’accumulo energetico è pronto a raddoppiare la propria potenza installata passando dai 4,5 GW aggiuntivi del 2020 a oltre 10 GW del 2021. Un mercato dove a farla da padrone sono gli Stati Uniti, con oltre il 50% dello stoccaggio mondiale.
In ultimo, interessante anche quanto comunicato dall’Agenzia Europea dell’Ambiente, che il 23 novembre 2020 ha pubblicato il rapporto sulla qualità dell’aria in Europa (Air quality in Europe — 2020 report) soffermandosi proprio sul legame tra inquinamento e pandemia. I modelli di supporto elaborati dal servizio di monitoraggio atmosferico confermavano una riduzione fino al 60% di alcuni inquinanti atmosferici in molti Paesi europei in cui sono state attuate misure di lockdown nella primavera del 2020.
Tutto questo potrebbe non bastare però
Tutti sforzi che potrebbero rivelarsi inutili se non vengono presi in esame sul lungo periodo e non solo sul momento. Un calo significativo del livello di inquinamento è possibile, ma solo se si verificasse un cambiamento strutturale di lunga durata.
Ed è proprio per questo che è nato, ad esempio, COP21, un accordo firmato nel 2015 a Parigi (da qui conosciuto anche come Accordo di Parigi) che stabilisce delle linee guida il cui obiettivo è evitare pericolosi cambiamenti climatici limitando il riscaldamento globale al di sotto dei due gradi. Un’intesa che prevede, tra le altre cose, l’imposizione di un limite all’emissione di sostanze inquinanti per le case automobilistiche, che se non rispetteranno questi parametri dovranno pagare multe salatissime. Semplificando, il 95% delle auto vendute da ciascuna casa costruttrice nel 2020 doveva avere una media di emissioni di CO2 nei limiti di 95 g/km, mentre nel 2021 il calcolo si farà sul 100% delle vendite.
La corsa alla mobilità sostenibile
L’imposizione di mantenere bassi livelli di inquinamento ha innescato nelle case costruttrici la corsa per avere più modelli sostenibili possibili nella propria gamma. Non posso negare che, personalmente, questo non abbia giovato al mio lavoro: mai come l’anno scorso, infatti, ho preso parte a progetti in ambito di sostenibilità, assistito a conferenze digital, tavole rotonde ed eventi fisici (questi ultimi ben pochi purtroppo) su questi temi: dalle auto elettriche all’idrogeno, dalla mobilità dolce alle auto ibride.
E il mercato come ha risposto? Con una massiccia immatricolazione di auto ibride, che ad oggi risultano essere il giusto compromesso tra chi ha a cuore l’ambiente e vuole fare la sua parte e chi, però, non vuole perdere il fascino di guidare. Questi tipi di auto favoriscono la diffusione della mobilità sostenibile, anche nel nostro Paese. Certo, a differenza delle vetture 100% elettriche possono apparire meno “sostenibili”, affiancando un motore endotermico a quello elettrico, ma i vantaggi comunque rimangono e sono chiari: il motore elettrico riduce i consumi e le emissioni inquinanti in città, le ibride plug-in hanno una discreta autonomia a emissioni zero (dai 30 ai 60 km in media) e non sono soggette a limitazioni alla circolazione.
Mobilità sostenibile, Italia indietro in Europa
L’impatto del Covid ha portato a un uso più massiccio dell’auto personale e sempre meno del trasporto pubblico locale. Nel primo caso, si legge in un report stilato tramite le indicazioni registrate da Apple maps in Italia tra il 15 febbraio e il 19 settembre 2020, c’è stato un incremento dell’utilizzo della vettura personale del 70%, a fronte di una diminuzione del 25% dell’uso del trasporto pubblico. Lo stravolgimento delle abitudini urbane è il tema al centro di un interessante rapporto dell’Osmm (Optimal sustainable mobility mix) dal titolo “Mobilità sostenibile per il rilancio delle città metropolitane”. Sono stati presi in esame 42 indicatori, con dati relativi a domanda e offerta nell’ambito dei trasporti, ed è stato stilato un indice della mobilità sostenibile (Ims).
La città in cima a questa speciale classifica è Milano, seguita da Firenze, Bologna, Torino e Roma, mentre in fondo troviamo Messina, Napoli e Palermo. In generale il dato che ne scaturisce è che le città metropolitane più virtuose hanno un parco circolante più moderno e un trasporto pubblico più efficiente, ma il rapporto nei confronti dell’Europa vede comunque l’Italia arrancare. I minori investimenti nelle infrastrutture per il trasporto pubblico compiuti nei decenni passati pesano come un macigno, al pari di quelli ancora molto risicati sulle infrastrutture di ricarica. Vi riporto il mio caso: ho avuto diverse volte a disposizione una macchina 100% elettrica in prova. Oltre ad elogiarne le gesta, la praticità e il risparmio, dati incontrovertibili, i problemi maggiori sono stati quelli legati alla possibilità di poterla ricaricare: se gravito su Milano e provincia i problemi sono relativi, appena esco da questo territorio le colonnine iniziano a scarseggiare, con qualche eccezione che però ne conferma la regola (vedi Brescia, dove di colonnine ce ne sono tante).
Come si può pretendere di rivoluzionare la mobilità, riducendo quella inquinante in favore di quella sostenibile, se non ci sono le strutture e i mezzi? Bisogna porsi delle domande per arrivare all’obiettivo, dicevamo. Ma serve anche agire ora per un futuro migliore: fino a quando la pandemia non sarà completamente sotto controllo, le autorità locali dovranno provare a offrire alternative agli utenti del trasporto pubblico in modo che possano avere una valida soluzione alternativa all’utilizzo dell’auto privata.
Luca Talotta